ASPETTI GENERALI
Il problema delle fonti
Per la quasi totalità dei paesi, le prime fonti scritte che documentano in qualche modo la loro esistenza partono dal secolo X; per le epoche precedenti si dispongono di ritrovamenti archeologici per lo più del basso impero romano e dell'epoca longobarda.
Fra i secoli X e XIII si ha notizia di quasi tutti i paesi dell'attuale Castellana, ma è ragionevole affermare che la loro formazione territoriale risalga comunque all'età longobarda, quando, pare, che tutta l'Italia Settentrionale sia stata ricoperta da una rete di villaggi a confini certi. Con l'editto di Rotari si erano fissate le norme che regolavano il funzionamento dei villaggi rurali, chiamati con termine tecnico "regole" (es. regola di Loria, regola di Ramon, ...); questi, poi, si aggregavano in circoscrizioni maggiori chiamate "pievi" nelle quali una regola esercitava il ruolo di capopieve (es. regola capopieve di Bessica).
Le regole erano governate da un organismo assembleare formato dai capifamiglia abitanti nel villaggio e chiamato "vicinia", che nominava un rappresentante di villaggio chiamato "meriga" ed alcuni aiutanti chiamati "saltari", o anche "uomini di comune".
Alla base di questa organizzazione di villaggio vi era il godimento in comune ed esclusivo per i suoi abitanti di un insieme di beni collettivi chiamati appunto "beni comunali", costituiti da terreni incolti destinati a pascolo, bosco o palude (secondo la natura del terreno).
Tutti questi aspetti sono documentati anche per il comune di Loria. Questo non costituì un territorio unitario se non a partire dal secolo XIX in seguito al riordino amministrativo del Regno d'Italia. Infatti un tempo da un lato vi era la Pieve di Bessica con le regole di Loria, Spineda, Pietrafosca e Manzolino; dall'altro Ramon e Castione che gravitavano nella Pieve di Godego.
Fra i secoli X e XIII si ha notizia di quasi tutti i paesi dell'attuale Castellana, ma è ragionevole affermare che la loro formazione territoriale risalga comunque all'età longobarda, quando, pare, che tutta l'Italia Settentrionale sia stata ricoperta da una rete di villaggi a confini certi. Con l'editto di Rotari si erano fissate le norme che regolavano il funzionamento dei villaggi rurali, chiamati con termine tecnico "regole" (es. regola di Loria, regola di Ramon, ...); questi, poi, si aggregavano in circoscrizioni maggiori chiamate "pievi" nelle quali una regola esercitava il ruolo di capopieve (es. regola capopieve di Bessica).
Le regole erano governate da un organismo assembleare formato dai capifamiglia abitanti nel villaggio e chiamato "vicinia", che nominava un rappresentante di villaggio chiamato "meriga" ed alcuni aiutanti chiamati "saltari", o anche "uomini di comune".
Alla base di questa organizzazione di villaggio vi era il godimento in comune ed esclusivo per i suoi abitanti di un insieme di beni collettivi chiamati appunto "beni comunali", costituiti da terreni incolti destinati a pascolo, bosco o palude (secondo la natura del terreno).
Tutti questi aspetti sono documentati anche per il comune di Loria. Questo non costituì un territorio unitario se non a partire dal secolo XIX in seguito al riordino amministrativo del Regno d'Italia. Infatti un tempo da un lato vi era la Pieve di Bessica con le regole di Loria, Spineda, Pietrafosca e Manzolino; dall'altro Ramon e Castione che gravitavano nella Pieve di Godego.